Il crescente interesse circa gli effetti dell’esercizio fisico sul sistema linfatico/immunitario ha portato a istituire una specifica branca dell’immunologia allo scopo di studiare le variazioni dell’assetto immunitario indotte dal lavoro muscolare. Possiamo dire che la maratona di Los Angeles del 1984 ha dato il via ad un imponente aumento dei lavori pubblicati grazie soprattutto ai contributi dell’americano David Nieman a cui si devono gli storici studi di modellistica utilizzati per descrivere i meccanismi di risposta immunologica allo stress muscolare sugli atleti “endurance”.
Successivamente la ricerca in questo campo si è notevolmente ampliata e, soprattutto negli ultimi anni, lo studio delle variazioni dell’assetto immunitario indotte dall’esercizio fisico (variabile per tipologia, intensità e durata) in relazione alle caratteristiche dei soggetti (età, sesso, stato di nutrizione, livello d’allenamento, ecc) ha portato a un volume di dati veramente consistente.
Le attuali position statement dell’ISEI (International Society of Exercise and Immunology) sottolineano come l’attività sportiva intensa e prolungata soprattutto endurance (es. maratone, ultramaratone, ironman, eccetera), sia in modalità acuta (gare), sia cronica (preparazione fisica, allenamenti), possa in soggetti predisposti “indebolire” il sistema immunitario inducendo l’organismo a contrarre con maggior frequenza patologie di natura infettiva; al contrario, l’esercizio fisico regolare di moderata entità sembra “stimolare” il sistema immunitario, esercitando sull’organismo effetti di tipo protettivo. I soggetti moderatamente attivi, rispetto ai sedentari e a chi si sottopone a pesanti allenamenti, sembrano quindi essere la categoria a minor rischio di contrarre infezioni.
Diverse sono, infatti, le risposte metaboliche derivate dall’attività fisica che possono sollecitare il sistema immunitario. Ciò che fa la differenza è l’intensità, durata e frequenza di allenamento che, come un “farmaco”, vanno opportunamente “dosate” al fine di ottenere le risposte fisiologiche volute. Per esercizio moderato s’intende generalmente un’attività con determinate caratteristiche:
- di durata non superiore a 1,5-2 ore di lavoro muscolare intenso;
- d’intensità non superiore al 75% della VO2max;
- con frequenza che generalmente non supera le 5 sedute settimanali.
Diversi autori, quindi, suggeriscono che soggetti moderatamente attivi abbiano un rischio minore di contrarre infezioni rispetto a chi si sottopone a pesanti allenamenti (ad esempio oltre tre/quattro ore al giorno di attività fisica intensa) o a soggetti sedentari. L’esercizio fisico moderato misto (aerobico/anaerobico) si è rivelato in grado di migliorare diversi parametri immunologici:
- numerosità, proliferazione ed espressione delle sottopopolazioni linfocitarie Th1 e Th2 (l’esercizio moderato favorisce, infatti, la risposta linfocitaria Th1, migliorando le difese immunitarie cellulomediate);
- livelli di immunoglobuline;
- aumento dell’attività citotossica delle cellule NK (NKCA);
- aumento dei sistemi di riconoscimento dei patogeni e della capacità antigene presentante dei macrofagi;
- aumento dell’attività fagocitaria di neutrofili e macrofagi;
- maggiore efficacia dei vaccini antinfluenzali.
Lo svolgimento di un programma regolare di esercizio fisico rappresenta un approccio terapeutico efficace anche per prevenire/ritardare l’insorgenza delle patologie croniche associate al grado d’infiammazione correlato all’età (inflammaging). Numerosi studi hanno evidenziato una stretta associazione tra inflammaging e inattività fisica in soggetti sani, mentre è stato dimostrato che l’esercizio fisico aerobico regolare in adulti e anziani è in grado di ridurre i livelli circolanti di citochine infiammatorie che vanno tipicamente aumentando nel corso dell’invecchiamento [Negro et al, 2016].
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Dott.sa Valentina Bonfanti